Le costellazioni sono state un formidabile strumento di comprensione e descrizione del cielo, in epoche e luoghi in cui non esisteva ancora la scrittura (o in cui l’uso della stessa era estremamente circoscritto).
Figure in forma animale, ibrida o umana, sono nate da una scienza antichissima: servivano a raggruppare e memorizzare i milioni di puntini lattiginosi del cielo, a descrivere i loro percorsi, le loro amicizie, i loro ritorni, in modo da poterli ricordare e trasmettere alle generazioni successive, quindi ai bambini.
.Per millenni, la conoscenza di base del cielo stellato (la cosiddetta ‘astronomia d’orizzonte’ o ‘a occhio nudo’) sembra essere stata molto più generalmente diffusa tra le popolazioni di quanto non lo sia oggi; essa permetteva di orientarsi, di sapere l’ora della notte e i tempi stagionali dell’agricoltura, della pesca e degli animali selvatici. E, naturalmente, di navigare: non solo per mare, ma anche (cosa cui spesso non si pensa) anche per terra, attraverso steppe e deserti privi di punti di riferimento all’orizzonte.
A partire dall’età moderna, col diffondersi degli strumenti meccanici per la misurazione del tempo e per la navigazione, la familiarità con la vita del cielo viene poco a poco a mancare. Nell’arco di pochi secoli, la connessione tra i simboli raffigurati nelle patere e formelle e il loro significato astronomico andò interamente perduta.
Al punto che, fino a pochi anni fa, patere e formelle, questi caratteristici strumenti di geolocalizzazione diffusi in Venezia e laguna, erano ritenuti un puro e semplice ornamento, portatori, al più, di un significato allegorico-morale, o di una funzione apotropaica.
Il loro studio in questa prospettiva, e la ricostruzione del vocabolario astronomico connesso, stanno iniziando solo adesso.
Non solo per i grandi spostamenti, quelli che hanno portato i mercanti-esploratori veneziani del ’200 fino ai punti più lontani della terra, ma anche semplicemente per muoversi da una città all’altra, o all’interno della città stessa, i nostri antenati avevano come unico mezzo di orientamento il sole e le stelle; per loro, il cielo era ancora interamente mappato da questi simboli visuali che si muovono ordinatamente nel corso delle notte e dell’anno, sorgendo e tramontando in punti preordinati.
I Veneziani del ‘200 mostrano di conoscere le costellazioni di ambiti geografici anche molto lontani, e citano con orgoglio questi simboli esotici nelle patere e formelle dei loro edifici civili, nei mosaici pavimentali, e nelle decorazioni esterne della loro Basilica; incluso il portale maggiore, che non fa che riprendere in una chiave formale più moderna e più splendida contenuti e simboli che in realtà erano diffusi, già da qualche secolo, in tutto il tessuto urbano.