Giovanni Mansueti (1465-1527), Episodi della vita di San Marco. In primo piano, dialogo tra un gruppo di Veneziani e di Mori ad Alessandria d’Egitto.

Venezia, Gallerie dell’Accademia Foto: Wikimedia Commons

A Venezia, nel Campo dei Mori a Cannaregio, sussistono addossate alle case quattro preziose statue duecentesche (fine XIII sec.), su cui il tempo ha incrostato ogni sorta di fantasie e di leggende. Ma le case stesse, e il nome del luogo, ricordano il Fondaco dei mercanti arabi della famiglia Mastelli, naturalizzati veneziani, attestato qui fin dai tempi medievali.

Liberandole dalle incrostazioni della leggenda, e dell’oblio, riscopriamo in queste figure a tutto tondo qualcosa di veramente singolare: un monumento civile al mercante e alla mercatura, che si trova solo qui a Venezia; non ha infatti paralleli nel mondo dell’epoca.

L’accostamento ai dipinti restituisce almeno idealmente a queste sculture dilavate dal tempo gli splendidi colori e i dettagli dorati di cui un tempo probabilmente brillavano, rendendole ancora più rimarchevoli.

La descrizione corrente li accomuna, i “Quattro Mori”; ma osserviamo che soltanto due delle figure, un anziano con barba, e un giovane, indossano l’abito lungo, il turbante e la stola che caratterizzano i mercanti arabi d’Egitto e di Siria, e che ritroviamo identici, ancora dopo qualche secolo, nei dipinti e nei cataloghi a stampa.

Gruppo di ‘Mori’: da Giovanni Bellini e Vittore Belliniano, Il martirio di San Marco alle porte di Alessandria d’Egitto, 1515-1526.

Venezia, Gallerie dell’Accademia.

Gli altri due personaggi effigiati in ‘Campo dei Mori’ appaiono di rango diverso: hanno l’abito corto, al ginocchio, delle classi lavoratrici, e portano pesanti carichi sulle spalle. Sembrano piuttosto dei portatori, o carovanieri, ed è tanto più singolare che chi ha deciso la creazione di questo monumento abbia deciso di immortalare questi lavoratori al modo dei mercanti stessi, trattandoli da pari, da quegli indispensabili sostegni alla casa che probabilmente erano; ruolo simboleggiato dal fatto che uno dei due portatori è collocato a pilastro angolare dell’edificio, come se idealmente ne sostenesse il peso. Si tratta del cosiddetto “Rioba”; ma la scritta che lo identifica, sempre che sia da considerarsi originale, sembra non essere in realtà un nome proprio, come vedremo più oltre. Nemmeno il cammello, del resto, è dimenticato in questa celebrazione dell’arte mercantile; e infatti figura in un’immagine di buona grandezza, insieme al suo cammelliere, sul lato opposto del gruppo di case, sulla celebre facciata del palazzo Mastelli prospiciente il rio.

Moro nobile del Cairo

illustrazione xilografica di Cristoforo Guerra da: De gli habiti antichi, e moderni di diverse parti del mondo libri due / fatti da Cesare Vecellio & con discorsi da lui dichiarati, Venezia 1590

‘Moro’ anziano

Ricordiamo che per l’Occidente medievale “Mori” non erano gli africani, ma gli arabi, anche detti saraceni; il nome ‘Campo dei Mori’ sembra prendere origine da un fondaco degli Arabi, che qui sarebbe esistito, come appare, fin dai tempi medievali. Nel suo celebre catalogo di abiti di tutte le parti del mondo, Cesare Vecellio, parente e allievo del celebre Tiziano, descrive l’abito tipo di un arabo cittadino di condizione agiata, caratterizzato da turbante, abito lungo e stola; e sorprende come, nonostante i secoli trascorsi, non solo gli elementi dell’abbigliamento, ma persino i gesti, come quello di stringere la stola con una mano, appaiano immutati rispetto ai nostri “Mori” di Cannaregio.

La lettura delle quattro statue incomincia idealmente dal più anziano dei due ‘Mori’, presumibilmente il capo del casato. Notiamo che il suo turbante, realizzato in marmo diverso, può essere stato rifatto al tempo del disastro bellico del 1917 e successiva ricollocazione delle statue (vedere più oltre).

Orientale barbato e inturbantato, in veste lunga e stola, con in mano un cofanetto, poggiante su mensola semicircolare.

Pietra d’istria, marmo bianco saccaroide (turbante), cm 150

Fine XIII o principio XIV sec.

Campo dei Mori, Cannaregio 3384 B

Foto: Pierangelo Merlo

Anonimo, Ricevimento degli ambasciatori veneziani a Damasco, 1511, Parigi, Louvre, part.

Foto: Wikimedia Commons

Questo celebre Ricevimento di ambasciatori veneziani a Damasco, probabilmente eseguito nella bottega di Gentile Bellini (m. 1507), raffigura il governatore mamelucco della città siriana che concede udienza a un gruppo di inviati veneziani, all’inizio del Cinquecento.

I dettagli dei costumi e dell’architettura fanno di quest’opera un prezioso documento d’epoca.

Tra le figure di astanti che fanno da contorno, notiamo in primo piano alcuni “Mori nobili” in conversazione, connotati da turbante, stola, abito lungo; un altro di loro è in atto di rivolgersi a un gruppo di cammellieri sulla sinistra.

Questi ultimi (il dettaglio s’intravede appena, nell’uomo in piedi rivolto a sinistra) indossano invece la veste al ginocchio, che sembra caratteristica dei lavoratori e delle classi sociali inferiori in genere: così vediamo infatti abbigliati, contro il muro in secondo piano, la guardia, lo staffiere che accompagna l’uomo a cavallo, e il paggio abissino che lo segue a piedi, portando seta.

Notiamo anche, in tutti questi dipinti, che il ‘Moro nobile’ non rinuncia alla sua veste lunga nemmeno per andare a cavallo; e che è, altrettanto immancabilmente, dotato di barba (vedere più oltre).

Portatore anziano

Le molte vicissitudini subite nel corso della storia, e i molti rimaneggiamenti, anche recenti, suggeriscono estrema cautela in ogni genere di considerazione e conclusione, da affidare a ulteriori ricerche.

Ma certamente, l’abito al ginocchio qualifica questo personaggio come appartenente a una diversa classe sociale rispetto ai due ‘Mori’ in abito lungo: si tratta probabilmente di un portatore, o carovaniere, la cui attività è simboleggiata dal fardello caricato sulle spalle e assicurato con una cinghia alla sua fronte.

Il committente, il “Moro anziano” effigiato lì accanto, avrebbe espresso il valore di questo collaboratore, prezioso supporto della sua famiglia, ponendolo simbolicamente d’angolo, a sostegno dell’intera casa.

Non dobbiamo sottovalutare lo speciale, prezioso vincolo di fedeltà che doveva legare il carovaniere al mercante, che viaggiava carico di tesori dai quali sarebbe stato facile derubarlo, una volta lontano dalla madrepatria.

Tracce di lavorazione più fine (l’elaborato disegno degli stivaletti, una fibbia che s’intravede su una spalla), fanno comprendere che la superficie, qui come nelle altre figure, era in origine rifinita con più dettagli rispetto a come appare oggi. Il grottesco nasone in ferro è una grossolana aggiunta otto-novecentesca.

Facciamo notare che, dal lato opposto alla celebre iscrizione ‘Rioba’ (ritenuta fino ad oggi il nome del personaggio), sono visibili altre lettere incise in una grafia simile: “R.BAR”.

La mente va al rabarbaro, rheum barbarum, la preziosa spezia che proprio i mercanti arabi, a partire dal secolo XII, presero a introdurre in Europa importandolo dalla Cina.

L’iscrizione “RIOBA” (anche considerata la sua collocazione, non ai piedi del personaggio ma un po’ di traverso sul fardello, e il possibile accento che s’intravede sopra la lettera ‘A’ purtroppo reso poco leggibile da una crepa), potrebbe designare non quest’uomo stesso, ma la soma che porta sulle spalle, il prezioso ‘riobà’ (rabarbaro), appunto.

Un ulteriore spunto per studiare di nuovo e più a fondo questo straordinario gruppo di sculture.

‘Moro’ giovane

Una violenta scheggiatura ha sfigurato le labbra e il mento.

Il turbante molto voluminoso rispetto alla figura, le proporzioni esili, soprattutto l’assenza di barba, fanno pensare alla figura di un giovane poco più che adolescente. L’assenza di barba, infatti, impensabile in un arabo adulto, era considerata disonorante in tutto il vicino Oriente antico, al punto che il taglio della barba veniva inflitto come castigo umiliante a nemici e prigionieri (ne parla anche la Bibbia).

Si tratta dunque o di un Veneziano vestito all’orientale (?), o, più verosimilmente, considerando anche il collo esile e il volume dell’acconciatura, di una persona molto giovane.

Osserviamolo infatti a confronto col bambino che porta a spasso il cane nel dipinto Ricevimento degli ambasciatori veneziani a Damasco: anche lui indossa un turbante di volume spropositato, quasi a volerlo innalzare di statura e di età verso il rango che gli spetta.

Al tramonto, nelle sere estive, l’ultima luce del sole accende per un istante questa figura di ‘Moro giovane’, quasi a indicare che su di lui sono riposte le attese di continuità del casato.

Orientale dal grande turbante, in veste lunga e stola, con in mano oggetto non più leggibile, entro edicola nicchiata.

Pietra d’Istria, cm 165.

La figura poggia su un frammento antico di riuso, ara romana con elmo e festoni.

Fine XIII o principio XIV sec.

Fondamenta dei Mori, Cannaregio

Foto: Pierangelo Merlo

Portatore giovane

L’abito al ginocchio, legato alla cintola e senza stola, e le braccia sollevate a sostenere il carico sulle spalle (dettaglio oggi perduto), fanno di questa figura non un ‘moro nobile’, ma un portatore, simile nel rango alla figura d’angolo. Abbiamo quindi, nelle statue che si alternano lungo i muri di ‘Campo dei Mori’, due generazioni in parallelo: un Moro vecchio e uno giovane, un carovaniere vecchio e uno giovane: il carovaniere vecchio, pilastro della casa, si affianca al mercante più giovane, quasi a sostenerlo con la sua esperienza, e viceversa.

Il turbante sul capo di questa figura, realizzato in marmo diverso, appare un’interpolazione incongrua, probabilmente relativa al fatto che la tradizione consegna i nomi non di due, ma di tre mercanti arabi di casa Mastelli: Rioba, Sandi e Alfani. Alterazioni e rifacimenti, purtroppo non documentati, si ebbero in varie epoche, ma specialmente in conseguenza del fatto che le statue crollarono insieme ai connessi muri perimetrali delle case in conseguenza di una bomba austriaca che colpì il sito l’11 agosto 1917.

Orientale barbato, inturbantato e con lunghi capelli, veste al ginocchio, reggente fardello sulle spalle, poggiante su mensola curvilinea.

Pietra d’Istria, marmo bianco saccaroide (turbante), cm 167

Fine XIII o principio XIV sec.

Campo dei Mori, Cannaregio 3385

Foto: Pierangelo Merlo