A Venezia, nel Campo dei Mori a Cannaregio, sussistono addossate alle case quattro preziose statue duecentesche (fine XIII sec.), su cui il tempo ha incrostato ogni sorta di fantasie e di leggende. Ma le case stesse, e il nome del luogo, ricordano il Fondaco dei mercanti arabi della famiglia Mastelli, naturalizzati veneziani, attestato qui fin dai tempi medievali.
Liberandole dalle incrostazioni della leggenda, e dell’oblio, riscopriamo in queste figure a tutto tondo qualcosa di veramente singolare: un monumento civile al mercante e alla mercatura, che si trova solo qui a Venezia; non ha infatti paralleli nel mondo dell’epoca.
L’accostamento ai dipinti restituisce almeno idealmente a queste sculture dilavate dal tempo gli splendidi colori e i dettagli dorati di cui un tempo probabilmente brillavano, rendendole ancora più rimarchevoli.
La descrizione corrente li accomuna, i “Quattro Mori”; ma osserviamo che soltanto due delle figure, un anziano con barba, e un giovane, indossano l’abito lungo, il turbante e la stola che caratterizzano i mercanti arabi d’Egitto e di Siria, e che ritroviamo identici, ancora dopo qualche secolo, nei dipinti e nei cataloghi a stampa.
Gli altri due personaggi effigiati in ‘Campo dei Mori’ appaiono di rango diverso: hanno l’abito corto, al ginocchio, delle classi lavoratrici, e portano pesanti carichi sulle spalle. Sembrano piuttosto dei portatori, o carovanieri, ed è tanto più singolare che chi ha deciso la creazione di questo monumento abbia deciso di immortalare questi lavoratori al modo dei mercanti stessi, trattandoli da pari, da quegli indispensabili sostegni alla casa che probabilmente erano; ruolo simboleggiato dal fatto che uno dei due portatori è collocato a pilastro angolare dell’edificio, come se idealmente ne sostenesse il peso. Si tratta del cosiddetto “Rioba”; ma la scritta che lo identifica, sempre che sia da considerarsi originale, sembra non essere in realtà un nome proprio, come vedremo più oltre. Nemmeno il cammello, del resto, è dimenticato in questa celebrazione dell’arte mercantile; e infatti figura in un’immagine di buona grandezza, insieme al suo cammelliere, sul lato opposto del gruppo di case, sulla celebre facciata del palazzo Mastelli prospiciente il rio.
Orientale barbato e inturbantato, in veste lunga e stola, con in mano un cofanetto, poggiante su mensola semicircolare.
Pietra d’istria, marmo bianco saccaroide (turbante), cm 150
Fine XIII o principio XIV sec.
Campo dei Mori, Cannaregio 3384 B
Foto: Pierangelo Merlo
Questo celebre Ricevimento di ambasciatori veneziani a Damasco, probabilmente eseguito nella bottega di Gentile Bellini (m. 1507), raffigura il governatore mamelucco della città siriana che concede udienza a un gruppo di inviati veneziani, all’inizio del Cinquecento.
I dettagli dei costumi e dell’architettura fanno di quest’opera un prezioso documento d’epoca.
Tra le figure di astanti che fanno da contorno, notiamo in primo piano alcuni “Mori nobili” in conversazione, connotati da turbante, stola, abito lungo; un altro di loro è in atto di rivolgersi a un gruppo di cammellieri sulla sinistra.
Questi ultimi (il dettaglio s’intravede appena, nell’uomo in piedi rivolto a sinistra) indossano invece la veste al ginocchio, che sembra caratteristica dei lavoratori e delle classi sociali inferiori in genere: così vediamo infatti abbigliati, contro il muro in secondo piano, la guardia, lo staffiere che accompagna l’uomo a cavallo, e il paggio abissino che lo segue a piedi, portando seta.
Notiamo anche, in tutti questi dipinti, che il ‘Moro nobile’ non rinuncia alla sua veste lunga nemmeno per andare a cavallo; e che è, altrettanto immancabilmente, dotato di barba (vedere più oltre).
Tracce di lavorazione più fine (l’elaborato disegno degli stivaletti, una fibbia che s’intravede su una spalla), fanno comprendere che la superficie, qui come nelle altre figure, era in origine rifinita con più dettagli rispetto a come appare oggi. Il grottesco nasone in ferro è una grossolana aggiunta otto-novecentesca.
Facciamo notare che, dal lato opposto alla celebre iscrizione ‘Rioba’ (ritenuta fino ad oggi il nome del personaggio), sono visibili altre lettere incise in una grafia simile: “R.BAR”.
La mente va al rabarbaro, rheum barbarum, la preziosa spezia che proprio i mercanti arabi, a partire dal secolo XII, presero a introdurre in Europa importandolo dalla Cina.
L’iscrizione “RIOBA” (anche considerata la sua collocazione, non ai piedi del personaggio ma un po’ di traverso sul fardello, e il possibile accento che s’intravede sopra la lettera ‘A’ purtroppo reso poco leggibile da una crepa), potrebbe designare non quest’uomo stesso, ma la soma che porta sulle spalle, il prezioso ‘riobà’ (rabarbaro), appunto.
Un ulteriore spunto per studiare di nuovo e più a fondo questo straordinario gruppo di sculture.
Orientale dal grande turbante, in veste lunga e stola, con in mano oggetto non più leggibile, entro edicola nicchiata.
Pietra d’Istria, cm 165.
La figura poggia su un frammento antico di riuso, ara romana con elmo e festoni.
Fine XIII o principio XIV sec.
Fondamenta dei Mori, Cannaregio
Foto: Pierangelo Merlo
Orientale barbato, inturbantato e con lunghi capelli, veste al ginocchio, reggente fardello sulle spalle, poggiante su mensola curvilinea.
Pietra d’Istria, marmo bianco saccaroide (turbante), cm 167
Fine XIII o principio XIV sec.
Campo dei Mori, Cannaregio 3385
Foto: Pierangelo Merlo